© Franco Fasciolo 2009/18







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Un pò di filosofia:
Il termine fotografia si riferisce sia alla tecnica che permette di creare immagini, su un supporto sensibile alla luce, sia ad una un'immagine ottenuta con tale tecnica, sia più generalmente ad una forma d'arte che utilizza questa tecnica. La parola fotografia ha origine da due parole greche: foto (phos) e grafia (graphis). Letteralmente quindi fotografia significa scrivere (grafia) con la luce (fotos).

Un pò di Teoria:
Prima di parlare di corredo fotografico, di corpi reflex, obiettivi, tecniche e illuminazione, luce, vorrei dare qualche semplice cenno teorico/tecnico che spieghi ai principianti che si avvicinano a questa forma d'arte, le basi della fotografia;

La Luce
Poichè fotografare significa scrivere con la Luce, vediamo innanzitutto cos'è la Luce: essa è una radiazione elettromagnetica. La luce, come tutte le onde elettromagnetiche, interagisce con la materia. I fenomeni più comuni osservabili sono: l'assorbimento, la trasmissione, la riflessione, la rifrazione e la diffrazione. Sebbene nell'elettromagnetismo classico la luce sia descritta come un'onda, l'avvento della meccanica quantistica agli inizi del XX secolo ha permesso di capire che questa possiede anche proprietà tipiche delle particelle e di spiegare fenomeni come l'effetto Compton. Nella fisica moderna la luce (e tutta la radiazione elettromagnetica) viene descritta come composta da quanti del campo elettromagnetico chiamati fotoni. Le superfici colpite dai raggi luminosi si comportano in modi diversi, a seconda che li riflettano o li assorbano in maggiore o minore misura. Nella pratica, tutti i corpi assorbono la luce, a causa della rugosità della superficie.

Riflessione ideale su una superficie liscia;
Diffusione della luce incidente una superficie reale;

Il Colore
Il colore è un fenomeno psico-fisico legato alla luce. Il colore senza luce non esiste; Il colore esiste in funzione della percezione che di esso abbiamo attraverso l'occhio e il cervello (i daltonici non percepiscono correttamente i colori). Inoltre la percezione dei colori dipende dalla composizione spettrale della luce e dalla qualità del materiale illuminato. Con la luce si parla di frequenza o, più comunemente, di lunghezza d'onda, al variare della quale variano i colori risultanti. La luce bianca è il risultato della mescolanza di tutte le altre tonalità di colore, presenti in proporzioni uguali. Pertanto si parla di "spettro" di colori, ossia dell'insieme di tutti i colori possibili; esempi di spettri colorati sono costituiti dall'arcobaleno o dal fascio di luce scomposta da un prisma trasparente. Ogni colore corrisponde ad una determinata lunghezza d'onda della luce.


Spettro della luce visibile;

La Macchina Reflex
Dopo queste prime nozioni, cercherò di illustrare la struttura e il funzionamento di una macchina reflex; innanzi tutto è bene sapere che c'è una buona analogia tra l'occhio umano e il sistema Macchina reflex+obiettivo. Le nuove macchine reflex digitali usano la stessa mecchanica di funzionamento quindi il discorso varrà sia per esse che per le vecchie reflex a pellicola.
Immaginiamo per ora un raggio luminoso rettilineo, che attraversi l'obiettivo; questo attraverserà tutte le lenti dell'obiettivo per poi giungere sullo specchio, che indirizzerà il raggio verso lo schermo di messa a fuoco e verso il pentaprisma. All'interno del pentaprisma il raggio subisce un cambio di direzione e un ribaltamento, per essere proiettato poi sulle lenti dell'oculare o mirino dove ci metteremo ad osservare.

Macchina Reflex - parti principali;
Cammino della luce prima dello scatto;

Questo è semplicemente quello che avviene fino ad un istante prima della pressione del pulsante di scatto; dopo la pressione del pulsante avvengono in rapida seguenza diverse operazioni meccaniche delle quali per il momento considereremo solo: il sollevamento dello specchio e subito dopo l'apertura dell'otturatore e la rapida richiusura, alla quale seguirà il riabbassamento dello specchio. Non ce ne rendiamo conto ma sono passati decimi, centesimi o addirittura millesi di secondo nel susseguirsi di tutte queste azioni. Il tutto naturalmente dipende dal tempo di apertura dell'otturatore, che sarà determinante insieme ad altri parametri.
Naturalmente considerando un raggio luminoso rettilineo tutto si semplifica; considerando invece una scena generica, possiamo capire l'utilità del pentaprisma. Per questo apriamo una parentesi (semplificata e semplificativa) e vediamo il funzionamento dell'occhio umano.

Occhio umano;
Schema ottico reflex + obiettivo e percorso luce;

Come già detto è facile notare la similitudine tra i due schemi ottici sopra, quello umano e quello ricreato dall'uomo. L'occhio umano proietta sulla retina una copia dell'immagine esterna ad esso che risulta, evitando tutta la parte teorica dell'ottica, capovolta; è il nostro cervello che poi rielabora i dati permettendoci di avere la giusta percezione di quello che è la realtà.

Parti dell'occhio umano, percorso luce;
Proiezione dell'immagine sulla retina;


Quindi anche nella macchina fotografica avremo un ribaltamento dell'immagine, e questa verrà impressa sulla pellicola o, per le macchine più recenti, sul sensore, capovolta. La funzione del pentaprisma quindi è quella di ridurre in dimensione e ribaltare nuovamente l'immagine per presentarla all'oculare. Da notare che in una macchina reflex ciò che viene presentato sull'oculare è proprio ciò che verrà catturato dalla macchina (apparte una esigua percentuale dai bordi).

In brevi linee questo è il funzionamento semplificato di una macchina reflex. Ora passiamo ad un concetto base della fotografia:

L'esposizione
Tralasciando la chimica di una pellicola o l'elettronica di un sensore, e rimanendo in ambito concettuale, cercheremo di apprendere cos'è l'esposizione; al momento della pressione del pulsante di scatto, abbiamo visto che si susseguono una serie di azioni meccaniche tra le quali l'apertura dell'otturatore. Questo permette alla luce di raggiungere la pellicola, che colpita dalla radiazione luminosa riprodurrà l'immagine catturata. La pellicola reagirà alla luce in base al tempo per il quale questa la colpirà. Concettualmente se uno stesso raggio luminoso colpisse la pellicola per un tempo brevissimo avremo allo sviluppo una foto del tutto nera, mentre se colpisse la stessa pellicola per un tempo lunghissimo, avremo una foto del tutto bianca data dall'eccessiva reazione. Ciò ci suggerisce che per regolare la quantità di luce che va a colpire la pellicola dovremo agire sul tempo di apertura dell'otturatore.
Aggiungiamo ora un elemento meccanico volontariamente tralasciato finora, che ci aiuterà dualmente all'otturatore, a regolare la quantità di luce che andrà a colpire la pellicola o sensore.

Il Diaframma
Il diaframma sostanzialmente è un foro a diametro variabile posto all'interno degli obiettivi ed una delle sue funzioni è di regolare la luminosità dell'immagine che si forma sul piano focale; insieme al tempo di scatto determina la quantità totale della luce che raggiunge la pellicola (luminosità x tempo).


Diaframma e varie aperture;

Naturalmente un diaframma più aperto lascia passare più luce di uno piccolo e viceversa; ma la luminosità dell'immagine che si forma sul piano focale dipende anche dalla lunghezza focale, occorre dunque mettere in relazione le due variabili attraverso un rapporto. Da un punto di vista matematico bisognerebbe dividere il diametro del foro per la lunghezza focale , ma per comodità d'uso, si usa l'inverso ed il risultato si indica con f/... .

La corretta esposizione della pellicola dipende quindi dalla regolazione dei due dispositivi appena visti: l'otturatore e il diaframma.
In fotografia, il termine esposizione indica talvolta il periodo di tempo durante il quale l'otturatore della fotocamera rimane aperto nello scatto di una fotografia (vedi: tempo di esposizione); più spesso, in gergo tecnico, la stessa parola indica la quantità totale di luce che viene fatta giungere alla pellicola (o al sensore nel caso di fotocamere digitali) nel suddetto periodo. L'esposizione si misura in EV (valore di esposizione).
Il rapporto che intercorre tra questi elementi è definito come reciprocità. A parità di condizioni di luce, si ottiene la stessa esposizione se aumentando un fattore se ne diminuisce un altro della stessa quantità.
Ad esempio, portando il tempo da 1/250 a 1/500, quindi dimezzando l'esposizione alla luce, si dovrà raddoppiare il diaframma (tralasciando per ora la sensibilità di pellicola o sensore). In entrambi i casi la quantità di luce che colpirà la pellicola sarà la stessa. Questa caratteristica permette un elevato controllo sul risultato fotografico. Un esempio per spiegare il concetto di esposizione potrebbe essere il seguente: immaginiamo che la pellicola sia rappresentata da un recipiente. Ebbene, per riempire il recipiente che rappresenta la pellicola possiamo agire su due elementi: l'apertura del rubinetto e il tempo in cui lo lasciamo aperto. Possiamo far fluire poca acqua (analogia con la luce) chiudendo il rubinetto (analogia con il diaframma) per un tempo lungo, o far fluire più acqua aprendolo, per un tempo più breve.


Teorema di reciprocità:tempo-diaframma;

Scegliere l'esposizione corretta è il compito più impegnativo, insieme alla composizione, per il fotografo.
Ciò non significa che una qualsiasi coppia tempo/diaframma, darà una buona fotografia, ma sarà la base per scegliere quale coppia ci darà la foto da noi cercata. E' chiaro che se stiamo fotografando un oggetto fermo, immobile, potremmo utilizzare un tempo relativamente lungo e scegliere il relativo valore di diaframma per avere una corretta esposizione. Se invece ci troviamo a fotografare un insetto posto davanti un fiore intento a succhiarne il nettare, sarà quasi un obbligo dover utilizzare tempi di apertura dell'otturatore rapidissimi; solo questo ci permetterà di cogliere un istantanea posizione dell'insetto ed avere la sua immagine ferma e pulita; di conseguenza, poichè per via della rapida apertura passerà poca luce (ommeglio passerà per un tempo brevissimo), dovremo compensare cercando di aumentare l'apertura del diaframma. Solo così riusciremo a ottenere una adeguata esposizione.
Ancora un esempio: con un tempo brevissimo riusciremo a cogliere le goccie d'acqua di una cascata, mentre con un tempo lento avremo la sola scia dell'acqua, con un effetto liscio e continuo.

Orchidea: tempo di scatto 2 sec;
Oca:tempo di scatto 1/1000 sec;

Oltre a questo si deve fare ancora una piccola considerazione propria dell'ottica, che non spiegherò teoricamente, ma ne darò solo gli effetti;

La profondità di campo
Per capire cos’è la profondità di campo bisogna prima introdurre un altro concetto che è quello di Circolo di Confusione: una persona, osservando un foglio bianco da circa 20-25 cm. di distanza è in grado di distinguere due punti disegnati sul foglio che distino tra loro 1/16 di mm; 1/16 di mm. è il potere risolvente del nostro occhio, al di sotto di 1/16 questi punti non vengono più percepiti come distinti ma diventano una sola macchiolina sfuocata, un circolo di confusione appunto che si traduce nella distanza minima che permette di percepire due punti come distinti. Siccome è proprio la nitidezza che ci interessa, ovvero riuscire a distinguere dettagliatamente gli oggetti, si può già immaginare come il circolo di confusione sia direttamente implicato nella determinazione della profondità di campo. La profondità di campo è la zona di nitidezza davanti e dietro il piano di messa a fuoco; l'estensione di questa zona dipende dalla lunghezza focale dell’obiettivo, dalla distanza del soggetto da fotografare, dai diaframmi utilizzati ed ovviamente, dal circolo di confusione. Vediamo quindi che con un dato obiettivo, il nostro intervento sul diaframma per la scelta della nostra esposizione interverrà proprio sulla profondità di campo. Si definisce quindi profondità di campo la somma delle distanze avanti e dietro al piano di fuoco, che risultano nitide (a fuoco). Quindi rimanendo nella pratica potremo dire che agendo sul valore di apertura del diaframma andremo ad ampliare o ridurre la profondità di campo (in correlazione ovviamente alla distanza del soggetto messo a fuoco).


Profondità di campo in funzione del diaframma;

Possiamo ben notare l'effetto dell'apertura del diaframma sulla profondità di campo, nella seguente immagine. Le foto sono state scattate tutte alla stessa distanza (circa 30cm) dal soggetto messo a fuoco (seconda batteria).


Profondità di campo in funzione del diaframma;

Oltre che dall'apertura del diaframma la profondità di campo dipende dalla distanza di messa a fuoco; in breve a parità di apertura di diaframma, la profondità di campo diminuisce all'avvicinarsi al punto di messa a fuoco e viceversa aumenta all'allontanarsi da esso; da notare inoltre che la distribuzione di profondità di campo rispetto al punto di messa a fuoco non è simmetrica, ma segue una legge matematica che approfondiremo in seguito; per il momento basta sapere che la zona avanti al soggetto è minore della zona dietro esso.


Profondità di campo in funzione della distanza di messa a fuoco;

L'ultimo fattore controllabile dal quale dipende la profondità di campo, è la lunghezza focale dell'obiettivo in uso. Generalmente a parità di apertura del diaframma, e a parità di distanza di messa a fuoco, la profondità di campo diminuisce con l'aumento della focale dell'obiettivo. Quindi un obiettivo ad alta lunghezza focale darà una contenuta profondità di campo mentre un obiettivo a corta lunghezza focale darà una più ampia profondità di campo.


Profondità di campo in funzione della lunghezza focale;

Riassumiamo il tutto.

Tenendo fissi gli altri fattori di dipendenza, la profondità di campo si riduce:

- aumentando la lunghezza focale (distanza fra le lenti);
- aumentando l’ apertura del diaframma;
- avvicinando il punto di messa a fuoco.

Vale il viceversa per l'aumento della profondità.

Effettuiamo ora un ulteriore analisi sulla profondità di campo, con un esempio pratico reale. Consideriamo un oviettivo di lunghezza focale 50mm. Fissiamo inoltre una distanza di messa a fuoco di 5m. Come abbiamo visto finora cambiando il valore di diaframma cambierà la nostra profondità di campo. Troveremo quindi un valore del diaframma che ci darà la massima profondità di campo. Allo stesso modo invece con lo stesso obiettivo e fissando un valore di diaframma, ad esempio 5,6, potremo variare la profondità di campo, variando la distanza di messa a fuoco, trovando anche in questo caso un valore di distanza di messa a fuoco che massimizzerà la profondità. Per questo ultimo esempio varrà:

Distanza MF PDC_LimVicino PDC_LimLontano
0,30 0,29 0,303
0,50 0,49 0,51
1 0,959 1,044
2 1,839 2,191
5 4,092 6,425
10 6,917 18,043
15 8,983 45,423
20 10,561 188,283
22 11,092 1323,617
22,35 11,18 23755,921

Come vediamo, alla distanza di messa a fuoco di circa 22,35 metri avremo una zona di fuoco che andrà dagli 11,18 m fino a 23 km (distanza che assumeremo infinito).
La distanza di messa a fuoco che massimizzerà la profondità di campo è chiamata distanza iperfocale. Mettendo a fuoco a questa distanza, avremo una zona di fuoco che andrà dalla metà di questo valore fino all'infinito. Per ogni valore di diaframma avremo una distanza iperfocale con le stesse proprietà. Vediamo di chiarire con un disegno quanto appena detto.


Distanza Iperfocale: 50mm, f/5.6, distanza Iperfocale=22.37 m;

Inserisco delle foto di esempio per far vedere il risultato con messa a fuoco alla distanza iperfocale.


Distanza Iperfocale: 10mm, f/8, distanza Iperfocale=0,6 m;



Distanza Iperfocale: 20mm, f/11, distanza Iperfocale=1,84 m;

Utilizza questo semplice tool per il calcolo teorico della profondità di campo e della distanza iperfocale :
Calcola la profondità di campo.


Le basi
Aggiornato: 28 Luglio, 2018

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